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Samarcanda? Sì, E Vi Dico Com'è Andata.

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  • Cap 6

    Mi fermo qualche decina di km avanti a pomeriggio inoltrato.
    C’è un area di sosta per i camion dove si può mangiare.
    La terra intorno è gialla, il cielo è giallo e la luce filtra in mezzo alla sabbia nel vento.
    Capisco ora perché da queste parti tutti sputano continuamente e disinvoltamente.
    Il posto all’interno sembra freschissimo anche senza condizionatori.
    Si entra in una grande sala, ora vuota, con addossato al muro un mobile decorato in zinco con lavabo e specchio.
    Sulla destra il banco dove si ordina da mangiare e qualche tavolo.
    In realtà nel banco non ci sono prodotti alimentari ma ricambi per auto e camion, attrezzi, lampadine.
    La parete alle spalle della signora che gestisce è aperta e comunicante con la cucina.
    Non sono particolarmente gentili, ma riesco ad ordinare un piatto di carne squisita e una birra ghiacciata scambiando qualche sorriso,
    ma nessuno mi fa domande. Neppure i camionisti russi che entrano a comprare qualcosa mi degnano di attenzione e va benissimo.
    Dietro il banco, in alto a destra nell’angolo, c’è un piccolo televisore sintonizzato su un canale russo che
    trasmette “Beetlejuice” in lingua originale con la voce dei doppiatori sovrapposta a quella degli attori anglofoni in modo grezzo e inespressivo.
    Sarà pure barbaro, ma così si impara la lingua, e non è poco.
    Mangio la mia squisitezza di carne combattendo una guerra spietata con le migliaia di mosche del locale,
    neanche minimamente decimate dalla carta moschicida penzolante dal soffitto come fosse un addobbo di carnevale.
    Faccio altri km verso sud con l’obiettivo di arrivare a Nukus , la prima citta di una certa importanza, almeno amministrativa, sulla mia strada e,
    secondo Samat, la prima traccia di civiltà dopo il superamento dell’inferno.
    Già…. Samat e l’inferno di sabbia! Finora gli unici km terribili sono stati gli 80 tra beyneu e la frontiera.
    La strada che sto facendo ora passa in mezzo alla sabbia fine e infuocata, ma è d’asfalto.
    Il manto è sbriciolato, ci sono buche di una certa profondità anche consecutive, ma è asfalto.
    E alla seconda sbarra di controllo , dopo quella del ragazzino, il vecchio che mi ha aperto mi ha chiesto se avessi benzina.
    Sono quasi certo che la vendesse pure.
    La vocina dice sempre più forte: “lo vedi? Lo vedi che non era vero?”
    Ma perché? Proprio non riesco a spiegarmi il perché di quegli avvertimenti così minacciosi.



    Stare assorto in questi pensieri mi distrae dalla strada e spesso
    le buche sono cosi profonde o i dossi di sabbia così alti che la moto salta in modo scomposto,
    con la ruota posteriore che si alza più dell’anteriore.
    Rischio un po di volte di perdere il controllo anche per il rinculo del fondo corsa, ma riesco sempre a tenerla e ad evitare il peggio.
    Penso che se cadessi ora su quest’asfalto a questa velocità sarebbe un massacro di scorticature nella migliore delle ipotesi e la cosa mi fa rabbrividire.
    Al tramonto sono quasi vicino a Nukus quando la strada gira a destra e supera la ferrovia.
    Lì ci stanno dei bambini che vendono bottiglie d’acqua, provenienti dal villaggio che si scorge sulla sinistra.
    Quando mi vedono impazziscono correndomi dietro.
    Io ho fretta e non vorrei fermarmi ma uno di loro mi urla “ Nomer! Nomer! Smatrì nomer!” La targa? “Nomer remont!”
    La targa è rotta? Opporcaputtana!
    Scendo a controllare.
    E sì: la plastica è tranciata in due proprio sopra la targa stessa e rimane attaccata soltanto con il filo della luce.
    I bambini ridono ripetendo a pappagallo le mie bestemmie e per evitare di passare alla storia come emulo di Erode mi sposto un km più avanti.
    Comincio a svuotare le valigie per tirare fuori il nastro isolante e fare una riparazione provvisoria.
    Dalla direzione opposta arriva un bambino a piedi che quando mi saluta , lo fa porgendomi entrambe le mani.
    Qui è un gesto diffuso: si fa con i familiari e con le persone degne di tanto rispetto.
    Forse perché da solo, a differenza degli altri, lui è molto educato:
    mi guarda con i suoi occhi grandi e neri mentre avvolgo il porta targa col nastro ,
    rispondendo educatamente alle mie domande e sorridendo ai miei sorrisi tirati.
    Dalla stessa direzione arrivano due tipi su una vecchia Ural arancio.
    Il tipo che guida , con la faccia e i modi dell’ italico meridionale che si crede un boss,
    scende dalla moto camminando a gambe larghe chiamandomi continuamente “maifrend!” .
    Dice che sta andando al villaggio vicino ad accompagnare il suo amico che domani si sposa,
    di aspettarlo lì così poi vado con lui a Nukus e lì grande divertimento e ottimi alberghi e cibo buono evvai così.

    Voi penserete che io abbia aspettato il mio nuovo Maifrend per andare a Nukus con lui, vero?
    Sbagliato:
    già stavo incazzato, figurarsi quando uno che mi vede in difficoltà arriva ridendo,
    chiedendomi sigarette (da me arrotolate, per lui e l’amico) di cui sputacchierà il tabacco a 20 cm da me per tutto il tempo,
    e preoccupandosi solo di fare foto col pollice in alto davanti alla mia moto.
    MavafanculutueNukus!
    Il ragazzino mi dice che c’è una “gastiniza” nel villaggio e mi può accompagnare.
    Perfetto: una notte al villaggio è quello che ci vuole oggi.
    Lo faccio montare dietro ed entriamo in paese ,
    lui mostrandomi la strada io regalandogli un giorno di gloria di fronte agli altri bambini.
    Maifrend esce in contemporanea al nostro ingresso e non gli do tempo di dire nulla, neanche mi fermo.

    http://www.youtube.com/watch?v=nLKzUMqOjfU

    La locanda è in realtà uno spaccio di bibite e qualche alimento,
    di proprietà di una signora sui sessanta che veste in abito tipico, la testa coperta con un foulard colorato.
    Insieme a lei ci sono una giovane donna, che scopro essere la nuora, e il nipotino sui sette/ otto anni.
    La casupola si sviluppa ad L: lo spaccio prende un braccio, sull’altro ci stanno 3camere con due letti ciascuna.
    All’incrocio, in fondo, il WC separato da lavabo e doccia in costruzione.
    Ci accordiamo per il prezzo, davvero ridicolo, e compro un bottiglia d’acqua gassata e gelata.
    Me la godo nello spiazzo lì davanti, seduto su una panca circondato dai bambini, caciaroni e divertenti ma difficili da tenere a bada.
    Il più guappo ha una bici con i CD attaccati ai raggi e una sirena polifonica che fa un macello della madonna.
    A lui piace la mia moto, a me piace la sua bici: tra tamarri ci si intende.
    Ce n’è un altro con la bici nuova nuova e colorata che dice che la sua è più ****.
    Un altro mi chiede da fumare e ovviamente gli dico di no perché è piccolo e perché fa male.
    -“E tu perché fumi?”
    -“perché sono stupido?”
    Risata
    -“in Italia parlate il russo?”
    -“No, l’italiano!”
    -“E perché lo parli?”
    -“per venire qui da voi! E voi perché parlate russo se siete Uzbeki?”
    -“Lo studiamo a scuola!”

    Azzo! Lo studiano pure a scuola! Ma non era questa la terra dove nessuno parla russo?

    Ridono ai miei gesti, ridono alle mie imprecazioni quando il ragazzino accende la sirena.
    Sono bellissimi e non posso fare a meno di ricordare l’infanzia
    quando scapicollavo con gli amici per campi e viuzze della periferia di Catanzaro,
    chi con la bici nuova fiammante, chi con il più improbabile velocipede possibile, senza distinzione di reddito o classe.
    Bella l’infanzia, con i sogni alimentati dalla fantasia e l’occhio vigile e protettivo dei genitori.
    Ma francamente ancora più figo essere adulti,
    quando i sogni li puoi realizzare e la vigilanza familiare è stata abbondantemente destituita:
    e mica ci puoi andare da bambino in Uzbekistan con la moto!







    La signora mi invita a mangiare con la famiglia.
    Beviamo the e mangiamo una zuppa di verdure e carne tritata.
    Mi racconta del figlio che sta via a lavorare in Russia e torna poche volte all’anno.
    E questa pare essere storia comune nel villaggio: entrando ho visto molte donne.
    Praticamente è un villaggio di donne e bambini.
    Evidentemente gli uomini sono costretti a emigrare in massa, chi nelle città più grandi, chi in Russia.
    Mentre parliamo i bambini entrano ed escono dalla casa, guardandomi e ridendo , facendomi gesti e boccacce.
    A un certo punto uno di loro mi chiama e mi fa vedere che hanno svitato il tappo della ruota posteriore con l’intenzione di sgonfiarla.
    Io m’incazzo e urlo a tutti che questo è pericoloso per me,
    ed è pericoloso che si attachino alla moto come scimmie (ne avevo trovati un paio appesi al manubrio che tiravano dal lato opposto al cavalletto).
    Insomma li sgrido abbastanza pesantemente.
    Il ragazzino che mi aveva chiamato se ne va mandandomi a cacare, gli altri se ne vanno offesi.
    Spiego alla signora perché li ho cazziati, e lei lo spiega ai genitori dei ragazzini che chiamano lei per sapere cos’ è successo.
    Comunque sia la signora e la nuora vanno a dormire e mi lasciano tutta la casa.
    Posso prendere dal negozio, avessi bisogno di qualcosa, lasciando i soldi.
    Tutto rimane aperto, anche la porta in modo da scoraggiare chi volesse avvicinarsi alla moto.
    Così suggerisce la signora.
    Io sono stanco e vorrei farmi un bel sonno ma ho un pensiero che non riesco a togliermi.
    Ho trattato male quei ragazzini che stavano solo giocando.
    Non hanno minimamente idea di quanto possa pesare una moto come quella , con quel carico.
    E magari credono che a sgonfiare la ruota me la rigonfio in un baleno, come fanno loro con le loro bici.
    E dopo sto cazziatone che ricordo si porteranno del forestiero con la moto nera?
    No, dai: il senso di colpa è troppo forte.
    Non mi va di essere ricordato come lo ******* arrivato dal nulla a cazziarli.
    Non posso rovinare così una bella giornata, mia e loro.
    Quindi prendo frasario e dizionario, metto insieme due concetti base e torno da loro, che continuano a giocare a nascondino tra le vie del villaggio.
    Appena sbuco tutti si raggruppano intorno a me e gli spiego che non volevo arrabbiarmi,
    che l’ho fatto perché non mi so spiegare bene e ho avuto paura per la cosa pericolosa che stavano facendo.
    Di non giocare con la moto salendoci sopra perché è pesantissima e se gli cade addosso è capace di schiacciare uno di loro.
    Di scusarmi per i miei modi.

    Siamo Amici? Sì, siamo amici!
    Partono le strette di mano e i sorrisi. Mi sento davvero meglio.
    Loro tornano a giocare e mi danno la buonanotte.
    Probabilmente avranno fatto pure il circo sulla mia moto quella notte.
    Io di certo non ho sentito nulla.
    Fa caldo, ma appena tocco il materasso crollo per il sonno e la soddisfazione di passare la mia prima notte in Uzbekistan.
    Con un pensiero neanche tanto recondito:
    Samat…. Tiè!

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    • Cap 6

      Capitolo 6



      Mi sveglio discretamente presto e con calma faccio due volte il caffè, mi do una lavata e carico la moto.
      Prima di andare scambio due chiacchiere con i nuovi ospiti della locanda, appena arrivati in taxi.
      Lei è uzbeka e vive in Russia, lui russo e poco loquace. Raccomando a lei di salutarmi la Signora e la Nuora.
      La strada continua a correre ancora nel deserto e ho ancora benzina nel serbatoio.
      Sono ormai rassegnato ad altri km di paesaggio sabbioso quando, poco prima di Nukus improvvisamente esplode il verde.

      http://www.youtube.com/watch?v=P5PpxaInqZ8

      Il paesaggio si riempie di corsi d’acqua e campi coltivati e addirittura alberi, che non vedevo da Astrakhan.
      Intorno all’asse stradale, due corsie che stanno espandendo a quattro, iniziano a vedersi i segni di una pacifica attività rurale e produttiva:
      donne alla fermata del bus, bancarelle di ortaggi a bordo strada, carretti pieni di frutta.

      http://grooveshark.com/s/Yoducha/3IhhgO?src=5



      Ho ancora almeno tre litri di benzina ma cerco lo stesso un benzinaio aperto, essendo palese che non ne troverò molti funzionanti sulla strada.
      Anche qui, come in Russia e Kazakhstan, ci si serve e poi si paga.
      Chiedo di fare 20 litri, ma non bastano a riempire.
      Ne faccio abilitare altri 5 capendo che chiaramente la pompa è taroccata.
      Quando vado a pagare, molto discretamente dico al tipo dietro le sbarre:
      -“ Tovarish, che facciamo? il mio serbatoio porta 23 litri, ne avevo tre e ne ho messi venticinque. Quindi?”
      Non finisco di parlare che lui mi risponde “Dai, dai… ti ridò i soldi”.
      L’ammissione di colpa espressa con tale candore fa passare in secondo piano il fatto che mi rimborsi tre litri invece di cinque.
      Basta poco per essere imbrogliati e felici.
      Poco più avanti sulla stessa strada mi fermo da dei ragazzi che vendono meloni sotto una tenda a bordo strada.
      Loro mi guardano incuriositi e non sono molto loquaci, credo non parlino russo.
      Il più grande inizia a tagliare lui ogni fetta, poi lo fermo e faccio da me col mio coltello.
      Quando alla fine del succoso pasto tiro fuori il tabacco e inizio a girarmi una sigaretta il Ragazzo mi guarda incuriosito.
      Gliene giro e offro una fatta col poco tabacco che rimane, rifiutando una delle sue senza filtro.
      Mentre tira la prima boccata guarda nel vuoto perplesso, poi abbozza un sorriso e fa di sì con la testa.
      Fumiamo insieme e mentre sto per andare via mi regala un melone da portare con me, che accetto più che volentieri.
      Pollici in alto per la mia moto mentre sistemo il melone sotto l’asciugamano bagnata.

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      • Cap 6

        Farò un'altra sosta alla periferia di Nukus a mangiare in una chaikhana invasa dalle mosche e gestita da simpatiche signore.
        Mi farò anche mezz’oretta di collasso sui tappeti all’esterno.
        Cerco di sistemare meglio la targa aggiungendo nastro isolante, ma non servira a molto visto il caldo che fa.
        Un signore di passaggio, con cui ho condiviso il palchetto per lo sbraco, mi porge un pezzo di filo d’acciaio arrugginito preso da terra.
        Lo porto con me senza usarlo. La giornata proseguirà tranquilla tra alternanze di deserto e aree verdi.

        http://www.youtube.com/watch?v=TkczAvOT6U8









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        • Cap 6











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          • Cap 6





            La gente pare essere assolutamente tranquilla.
            I bambini giocano facendo bagni nei fiumi e persino nei canali d’irrigazione e
            le donne sembrano godere di una certa libertà anche nelle zone rurali, a partire dal non obbligo di portare il capo coperto.
            Gli uomini sorridono e c’è una gentilezza diffusa che mi fa sentire accolto bene.
            Anche qui la gente fa domande, ma mi sento meno animale da circo.

            http://www.youtube.com/watch?v=oxmoB5CQTt8

            Insomma, non si respira affatto l’aria da dittatura,
            se non per i posti di blocco fissi ogni 100/120 km oppure all’imbocco di ogni viadotto fluviale,
            a quanto pare considerato di interesse militare visto che non è possibile scattare foto al paesaggio.





            I primi controlli sono più approfonditi, con tanto di domande su che minchia ci faccia lì e controllo documenti della moto.
            Nei giorni a seguire avrò come l’impressione che si siano passati la parola, vista la superficialità , o totale assenza, dei controlli.
            In questa prima giornata sperimento anche i due aspetti della polizia stradale:
            una prima pattuglia poco dopo il melone mi da pacche sulle spalle e strette di mano e indicazioni per la strada.
            Un’altra dopo Nukus mi ferma per la velocità e scopro che nei centri abitati la velocità max è di 60kmh.
            Mi fanno vedere quanto sarebbe la multa, vorrebbero dollari, ma ne ho 5.
            Di som non ne ho abbastanza. Ho ancora qualche rublo.
            Quando gli dico –“ E vvabbò!... fatemi sta multa che la vado a pgare in banca a Khiva!”
            lo Sbirro si convince a prendere tutto quello che c’è:
            Una mazzetta a valuta multipla per un totale di non più di otto o nove euri.

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            • Cap 6

              Arrivo a Khiva poco prima del tramonto e, dopo le chiacchiere con lo scemo del villaggio e due tipi su un sidecar,
              cerco da dormire trovando posto in un Bed and Breakfast gestito dal tipo che mi è sembrato più onesto.

              http://www.youtube.com/watch?v=hNAJYgmur6w

              Il posto è una parte della loro casa con camere su due piani.
              La mia, una quadrupla, che occuperò da solo, è proprio di fronte all’ingresso.
              Il giardino è diviso in due da un separee in legno e dall’altra parte le donne stanno preparando la cena mentre i bambini scorrazzano e fanno caciara.
              Ci accordiamo per il prezzo, intorno ai 15 dollari che forse è un pò alto.
              Lui è leggermente scuro di carnagione, con gli occhi neri e profondi che mi fissano un po imbambolati.
              Mi fa mettere la moto nel cortile coperto, di lato ai due divani per guardare la tv da un sacco di pollici tenuta sotto la tettoia e di fronte a un tavolo per la colazione sotto la veranda.
              Ci accordiamo per un cambio di denaro e io stupidamente gli dico come cifra quella che indica il convertitore di valuta sul mio telefono.
              Lui fa una faccia perplessa mentre io memorizzo la cifra.
              Lascio i dollari a lui, dice che me li cambierà appena possibile, dato che ora non ha som.
              Mi dice anche che se voglio l’indomani può portarmi da un suo amico carrozziere per risolvere il problema del porta targa.
              Ok, domani vediamo. Metto il melone in frigo, insieme alle borracce piene d’acqua.
              Penso che quello sarà il mio dopocena o il pranzo di domani.

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              • Cap 6

                Dopo una doccia beata nel bagno pulitissimo scambio due chiacchiere veloci con una coppia di italiani,
                dopodiché mi collego a Facebook per annunciare agli amici il nuovo colpo di scena e fare una ricerca sui traghetti sul mar nero.
                A questo punto sarebbe buono trovare un traghetto che mi porti da Sochi (ru) fino a Istanbul o dintorni.
                Ma non c’è più da qualche anno.
                Riesco a trovare solo navi della UKR Ferry che mi porterebbero in Ucraina o in Bulgaria dopo una giornata di navigazione.
                Poi tornare da lì richiederebbe altri giorni di viaggio nel viaggio.
                Insomma, non trovo soluzione a questo dilemma del ritorno, né informazioni sulla frontiera di Kazbegi che, se fosse aperta, sarebbe risolutiva.
                Mentre sto lì a bere una godutissima birra, un’ austriaca ospite della locanda mi saluta e prova ad attaccare bottone chiedendomi del mio viaggio in attesa di andare a cena con la sua amica che si sta preparando.
                Mi rendo conto dell’aria da scoppiato che ho, quando riesco a farla fuggire parlandole del fatto che
                volevano farmi desistere dal proseguire il viaggio e del mio non riuscire a darmene una spiegazione.
                In quel momentomi vedo come uno scappato dal manicomio con le manie di persecuzione.
                Il fatto è che in questa lunga giornata che mi ha portato a Khiva ho avuto modo di riflettere su quanto accaduto.
                E mi sono convinto che possono esserci due motivazioni per le parole di Samat.
                La prima è il desiderio di fare una buona azione tutelando la mia incolumità,
                evitandomi una brutta fine vista la dimostrazione di cazzonaggine nel deserto:
                avrà pensato a me come il cittadino occidentale che fa una vacanza in luoghi esotici credendosi un avventuriero ma
                assolutamente inconsapevole della difficoltà del territorio.
                Questa buona azione sarebbe stata un jackpot milionario per la sua raccolta punti per il loro paradiso.
                L’altra, che mi convince di meno, è che non abbia accettato l’idea che qualcuno di straniero violasse quella terra così dura proseguendo in Uzbekistan.
                Ovvero: io mi sento figo e macho perché vivo qui. Se chiunque può passare da qui allegramente,
                allora io non sono più così figo e macho.
                Un po come se io dicessi a un biker tedesco di non andare sulla costa Jonica calabrese che c’è rischio di morire sparati in fronte:
                mi circonderei di un’aura da duro non da poco impressionando il visitatore teutonico.
                Di certo c’è una cosa, caro Samat: ho fatto 50 km prima di rimanere impantanato sul suolo piatto di un deserto.
                Ma sono sicuro che tu in Aspromonte chiameresti i soccorsi dopo la prima vallata.
                Fatto sta che qui ci sono arrivato e non era tutta st’impresa farlo.
                Di strada veramente brutta erano solo 80 km.
                La benzina l’avrei trovata dopo 250 km.
                Il russo lo insegnano a scuola e anche i bambini lo parlano e ogni B&B ha una connessione wi-fi perfettamente funzionante.
                E finora non ho visto una donna che sia in evidente stato di sottomissione.
                Certo fa caldo. Ma dopo la giornata a piedi nel deserto non è più così insopportbaile.
                Mi sento un po’ spossato e ho sempre sete, ma ormai mi ci sono abituato.

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                • Cap 6

                  Per la cena il Tipo mi suggerisce un posto lì vicino, poco fuori le mura della città, frequentato da gente locale e poco costoso.
                  Mi dirigo verso il posto dopo essere rimasto perplesso dalla sua faccia:
                  ha qualcosa di diverso da prima ma non riesco a capire cosa, forse l’espressione un po più buia.
                  Il locale è in pieno stile Uzbeko.
                  Ha una grande veranda sostenuta da colonne di legno intagliato dove, oltre ai tavoli sul lato esterno,
                  ci sono dei tavolini bassi su pedane dove si mangia scalzi e a gambe incrociate.
                  Ordino roba di carne e una birra e siedo fuori a fare foto agli avventori.
                  Sul palco ci sono degli strumenti e con una telecamera stanno intervistando una donna con l’aria da cantante.



                  Sono l’unico straniero lì in mezzo fino a quando non
                  sento una voce conosciuta parlare l’italiano dei tedeschi nei film di Totò:
                  E’ Goffredo, quello del Rally London- Tashkent.

                  Mi dice che i vari equipaggi si sono un po sparpagliati:
                  I ggiovani a fare free camping mentre lui, il Turco ablante e il Motociclista stanno a Khiva ma in alberghi diversi.
                  Ho un fremito di goduria al pensiero di Mr. Bermuda portato in caserma dalla polizia,
                  essendo il campeggio libero severamente vietato in Uzbekistan.
                  Vediamo insieme lo spettacolo.
                  La donna canta e balla accompagnata da una percussione simile alla tammorra napoletana, una fisarmonica e un cordofono simile a un mandolino allungato.
                  Suonano musica tipica e alla fine coinvolgono i presenti facendo iniziare le danze.
                  Ogni tanto il gruppo danzante si fa promiscuo, ma la regola pare essere “ i masculi cu i masculi, i fimmini cu i fimmini” .
                  Io e Goffredo siamo felicissimi di essere gli unici stranieri ad assistere a questo spettacolo in una minuscola citta in un angolo remoto del globo.

                  http://www.youtube.com/watch?v=dCoD8UoGjJ0

                  http://www.youtube.com/watch?v=BAgmB4SP1ZI

                  http://www.youtube.com/watch?v=A-LjNucaiHo

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                  • Cap 6

                    Dopo un po di chiacchiere sulle nostre vicissitudini e sulle nostre vite
                    ( ha vissuto per anni a Roma poi, finita la storia che lo aveva portato lì, è ritornato in Germania)
                    entriamo insieme nella città attraversando la fortificazione.
                    Il suo albergo è una splendida scuola coranica riadattata a 4 stelle appena entrati dalla porta est.
                    Ci salutiamo con l’augurio di ribeccarci più avanti.
                    Non ci rivedremo mai più.
                    Mi incammino per le vie della città, ormai diventata una bomboniera per turisti,
                    piena di locali per occidentali ma dignitosamente in stile uzbeko.
                    Tutti vendono alcoolici senza fare problemi e mi viene in mente che l’anno prima in turchia
                    passavo intere giornate senza toccare alcool.
                    Dai cortili dei ristoranti e dagli internet cafè giungono voci di gruppi di italiani,
                    che per il loro volume stridono con la sommessa educazione degli autoctoni che, anche quando sono grezzi, non sono mai volgari. Passeggio da solo un po immalinconito.
                    Stasera accuso un po il peso della solitudine, forse perchè fare il turista da solo è più dura che fare il viaggiatore solitario.
                    La città è bellissima con i suoi portali, i cortili e le texture delle maioliche.
                    Anche gli edifici in mattoni a vista sembrano esprimere la devozione a un dio che ha bandito la rappresentazione degli esseri viventi, osannato attraverso l’ incastro geometrico: non c’è un solo segno che si perda nel nulla. Ogni geometria occupa il suo posto all’interno di una più grande che la contiene e non c’è una sola figura, in quell’abbondanza semiotica, che sia di troppo o che fluttui libera. Gli unici segni a essere svincolati sono le iscrizioni in arabo. E chissà cosa dicono.











                    Sarei tentato di entrare in un Caffè a prendere una vodka e magari attaccare bottone con dei turisti, magari italiani. Ma mi rendo conto di non avere voglia di mettermi in mezzo a un gruppo di turisti organizzati e spararmi le pose del cavaliere errante. No, sento che nessuno in questo momento potrebbe capire cosa sto vivendo e provando. Nessuno che si stia muovendo in gruppo alla ricerca di monumenti inseguendo una guida, cercando di vedere più cose in una giornata con un pulmino a noleggio. E no, non capirebbero cosa vuol dire arrivare qui mangiando sabbia e moscerini mentre ci si ustiona l’interno coscia col collettore della marmitta, che per il troppo caldo non si raffredda mai. Non capirebbero quanto vale aver percorso su due ruote ogni singolo metro dall’ovest della Grecia, sbagliando strada, parlando con le persone, dormendo con sconosciuti e facendo cazzate. Preferisco bere una bottiglia da un litro d’acqua comprata a caro prezzo da gente del posto, con la bancarella davanti casa e scambiare sorrisi con loro. Le parole non sono tante ma davvero non servono per sentirsi accolti. E questa gente sa accogliere davvero. Vado a dormire deciso a ripartire l’indomani. Khiva l’ho vista, ho onorato la bomboniera turistica. Domani andrò verso Buchara. Il tipo della locanda mi ha gia dato indicazione su dove alloggiare. Dopo un paio di sigarette fumate in veranda vado a nanna. Non riesco a non pensare a che ***** di strada fare per tornare a casa.

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                    • Bellissima Khiva, deve essere stato emozionante arrivare in moto e girare intorno alle fortificazioni.

                      :moto:
                      Viaggiano i viandanti....viaggiano i perdenti più adatti ai mutamenti...
                      Nimby, Not In My Back Yard

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                      • sempre bello leggerti e ricordare i bei posti visitati, bella la ripresa dell'ingresso a Khiva
                        bisogna godersi il viaggio e non pensare solo alla meta

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                        • Ok, prdonate la latitanza...
                          continuo con un altro paio di giornate uzbeke.
                          Sperando di non annoiarvi.

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                          • Cap 6

                            Capitolo 6




                            La sveglia suona presto, ma me ne fotto quanto basta per alzarmi con calma senza fare tardi.
                            Mi accorgo di non aver messo a caricare l’Actioncam e neanche l’interfono avrà vita lunga.
                            Faccio colazione quasi in contemporanea alle ragazze austriache che, ascoltando la conversazione tra me e il Tipo della locanda, paiono essersi ricredute sulla mia immagine, in particolare la bionda che era scappata all’arrivo dell’amica.
                            Cerca di recuperare in qualche modo, ma il mio orgoglio ferito mi fa assumere un atteggiamento del tipo “vafanculu principessì”.
                            Il tipo mi dice che ha cambiato i soldi e quando me li da mi accorgo che, prima volta nella mia vita, sono un po di più rispetto a quanto dice il convertitore.
                            E certo! Qui il cambio è al mercato nero, e la guida lo diceva pure.Solo non pensavo fosse praticato in questo modo.
                            In pratica è quasi inutile andare in una banca a cambiare soldi: ogni attività commerciale, chaikhana, venditore di benzina o di frutta o di quello che vuoi tu ti cambierà i soldi.
                            Questa cosa è perfettamente tollerata dal governo centrale e permette a chi opera nel turismo di avere un piccolo margine di guadagno sul cambio senza però fottere il turista.
                            O almeno è quello che ho capito nei giorni a seguire.
                            Altra cosa che scopro è che non esistono tagli più grandi della banconota da mille, praticamente il costo di un the.
                            Nei giorni della mia permanenza in Uzbekistan vedrò la gente andare in giro con borse piene di banconote,
                            buste di plastica piene di banconote,
                            buste da lettera grandi piene di banconote,
                            carpette, agende, riviste pieni di banconote.
                            Le carte di credito esistono ma da quello che ho capito sono un po l’equivalente dei nostri bancomat, per cui lasciate perdere visa e mastercard.
                            Mentre sono lì col Tipo a contare le banconote, tante banconote, un’auto si ferma davanti alla veranda e scende il Tipo.
                            Un altro uguale.
                            E sì, cazzarola sono gemelli.
                            E ieri li ho incontrati entrambi separatamente, per questo il Tipo mi sembrava strano!
                            Sebbene non si vedano dalla sera prima, i due gemelli si salutano abbracciandosi.
                            Saluto anche io il doppio del Tipo porgendogli entrambe le mani e quando gli racconto del mio smarrimento della sera prima ci facciamo una gran risata insieme. L’Austriaca saluta dicendo che magari ci incontriamo a Buchara.
                            Vai gioia, vai! Buon viaggio!
                            Il Tipo continua a raccontarmi della vita da quelle parti.
                            E’ giovane. A ventotto anni è gia sposato da un anno.
                            Mi racconta della sua festa di matrimonio durata giorni, della strada di fronte casa chiusa al traffico per la folla dell’occasione, delle spese affrontate per un evento importantissimo nella vita della comunità.
                            A sto giro però nessuno mi fa il terzo grado sul perché io non sia sposato, ma preferisce riempirmi di domande sull’Italia e sul mio viaggio.
                            E al mio racconto di come sia arrivato fino a Khiva i suoi occhi si perdono verso l’alto come a guardare su un grande schermo e di continuo mordicchia il labbro inferiore scuotendo la testa.
                            Ci salutiamo con un abbraccio dopo aver ricevuto in dono una bottiglia d’acqua per il viaggio.
                            La carico insieme al melone fresco di frigo che non ha voluto dividere con me: -“La strada è lunga e ne avrai bisogno!”.

                            Imposto il navigatore con destinazione Buchara.
                            Sono un bel po di km, ma il tempo oggi è con me, anche in senso meteorologico.
                            Khiva si trova in un’ area abbastanza verdeggiante e le temperature sono paragonabili a quelle calabre in Agosto.
                            Cerco un benzinaio aperto ma a quanto pare anche da loro domenica è giorno di chiusura.
                            Mi dicono di provare al mercato nero nella strada più avanti .
                            E infatti appena girato l’angolo un sacco di persone stanno davanti casa loro con dei banchi improvvisati a esporre damigiane da 5 litri di benzina, coi garage domestici aperti alle spalle.
                            Sempra una sagra dell’olio per quanta gente ronza intorno ai venditori e per il colore del liquido in vendita.



                            La benzina è senza dubbio a 80 ottani e magari anche sporca, ma almeno non mi possono imbrogliare sulla quantità.
                            Pago una damigiana da 5 litri, ma me ne avanza un mezzo litro che lascio al venditore.



                            Gli adulti e i bambini lì intorno mi guardano incuriositi e una ragazzina prova a snocciolare quel poco di inglese che conosce.



                            Dopo aver attraversato qualche villaggio la strada si inoltra nuovamente in una zona desertica ma benedetta dalla vicinanza al fiume, viste le case e gli orti che circondano la strada. Per il resto il paesaggio è fatto da stazioni di servizio e chaikhane.

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                            • Cap 6

                              Ennesimo controllo su viadotto fluviale e la strada prosegue costeggiando un canale artificiale, grande quanto un fiume, che convoglia l’acqua verso una diga qualche km più avanti.
                              E’ stranissimo vedere una massa d’acqua così grande correre dritta in mezzo al giallo della sabbia fine del deserto.







                              Faccio un bagno o non lo faccio? Ma sì dai ! Da quando son partito non mi sono immerso da nessuna parte, e in un viaggio così dedicarsi al tempo perso non è perdere tempo. Anche perché fa di nuovo un caldo boia.
                              Accosto la moto, scendo lungo la scarpata, mi spoglio e mi lancio in acqua in mutande.
                              L’acqua è ghiacciata ma piacevolissima e subito mi riprendo.
                              Provo a fare una nuotata ma appena mi allontano da riva sento la forza della corrente che mi fa desistere.
                              Ogni tanto dai pulmini e dalle auto qualcuno mi saluta.
                              Mentre mi cospargo il corpo con il fango del fondo per scartavetrarmi un po mi accorgo che il pastore dall’altra parte del fiume non sta parlando al telefono a voce alta.
                              Semplicemente parla da solo ad alta voce e ride fragorosamente come fosse un montone.
                              Sì, esattamente parla con la voce di un montone.





                              Sta lì accovacciato in mezzo al suo gregge, senza nessuna copertura che ripari lui dal sole e la sua mente dalla cottura.
                              Mi urla qualcosa in Uzbeko, gli rispondo qualcosa in Calabrese.
                              Fumo una sigaretta mentre mi rivesto senza asciugarmi in modo da rimanere più fresco.
                              Saluto il montone e riparto convinto di farmi una bella tappa, ma dopo meno di un km incontro un villaggio di case di fango



                              e un signore con due bambini che vende frutta a bordo strada.

                              Scambiamo due chiacchiere e mi invita a casa sua.
                              Io ringrazio ma rifiuto e proseguo.
                              Poi però mi viene in mente che comunque dovrò mangiare. E chissa quando mi capita più che un uzbeko mi inviti a casa sua.
                              Tra l’altro non ci andrei neanche a mani vuote, essendo dotato di melone da trasporto.
                              Torno indietro e trovo ad accogliermi un sorriso smagliante.
                              Lascia lì il cesto con la mercanzia, mi indica dove parcheggiare nello spiazzo e andiamo a casa.
                              Gli dico che ho portato un melone e che vorrei dividerlo con loro.
                              Lui sorride, ringrazia e prendendolo fa andare uno dei suoi figli a prendere un’anguria da regalarmi. E non posso che accettarla.
                              La casa è a un solo piano, semplice ma grande.
                              L’ingresso da su un grande soggiorno coperto di tappeti e in linea con la porta d’ingresso c’è quella che da verso la cucina e le camere, area che non visiterò. Il caldo si avverte anche dentro, forse per il tetto in lamiera non coibentato a sufficienza. O più semplicemente perché oggi è diventatato davvero torrido. Sediamo a un tavolo basso , lui capotavola, io a destra e ancora alla mia destra il padre.
                              Di fronte a me i bambini che mi scrutano sconcertati e con gli occhi spalancati.

                              http://www.youtube.com/watch?v=klSs3...ature=youtu.be

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                              • Cap 6

                                Le due donne portano di tanto in tanto cose da mangiare. Ci stanno dolci, frutta varia, insalata.
                                E il melone che il mio Amico taglia sorridendo felice.
                                Lo fa con gesto amichevole e leggero, ma vi si legge una certa solennità dell’azione.
                                La conversazione inizia ovviamente col mio viaggio e piano piano si sposta sui rispettivi paesi.
                                Ogni tanto ci sono degli intoppi ma troviamo sempre il modo di capirci.





                                Mi dice di essere a conoscenza della crisi in cui versa l’Italia e mi chiede come sia la situazione da noi.
                                Parliamo del lavoro, della politica impazzita, del popolo che non ce la fa mentre i potenti dormono tranquilli.
                                E lo facciamo mangiando con le mani nello stesso piatto.
                                Quando tocca a me chiedere lumi sul paese che sto visitando ricevo una bella sorpresa.

                                -“ Nash Presidient occinh kharashò!” dice il mio Amico puntando l’indice verso l’alto. “il nostro presidente è molto buono”.
                                Ad istinto mi sembra l’affermazione di un povero contadino che vive nell’ignoranza e che non conosce altro che il suo villaggio.
                                Prosegue dicendo che lo stato è efficiente e agevola la vita del popolo.
                                Il Loro Presidente gli ha assegnato il terreno su cui hanno alzato in quindici giorni la loro casa, fatta di mattoni di fango e paglia essiccati al sole.
                                Sul loro terreno coltivano alberi da frutta, grano, riso, cipolle, peperoni, peperoncini, patate, frutta varia.
                                Allevano galline, pecore e mucche e producono quanto basta al loro sostentamento e hanno il permesso di vendere il surplus di produzione.
                                Mi dice che l’assistenza sanitaria e medicinali sono gratuiti, che la scuola e i libri sono gratuiti.
                                Che per ogni figlio c’è un contributo mensile di qualche migliaio di Som.
                                Che sono pochi ma ci sono.
                                Mi dice –“ io non ho un lavoro, ma ho tutto quello che mi serve per vivere e mandare avanti la mia famiglia”.
                                Mentre dice questo mi guardo intorno.
                                La casa ha arredi abbastanza pacchiani, ma ci sono i riscaldamenti costituiti da un tubo d’acciaio da 7 o 8 pollici che gira su tre pareti e finisce in un cilindro di diametro maggiore. E’ la forma peggiore per un calorifero. Ma è un calorifero.
                                Mi accorgo che in sottofondo la TV è rimasta accesa su FOX Crime.
                                Chiedo : -“ Sputnik televizor?”
                                Risponde: -“ Da,da… Sputnik televisor!”
                                Hanno la tv satellitare, quindi sono collegati col resto del mondo.
                                Le cose che mi ha detto non sono frutto di un lavaggio del cervello imposto da una voce unica come avviene nelle dittature.
                                Loro hanno un riscontro col resto del mondo.
                                Dovrebbe essere una dittatura, ma hanno tutto quello per cui nelle democrazie scendiamo nelle piazze a prendere mazzate da poliziotti che se non fossero tali protesterebbero anche loro.
                                La scuola, gli ospedali, la casa.
                                In Italia devi sperare di non ammalarti, non devi alzare la testa davanti a chi ti da un lavoro.
                                Se ti sbattono fuori sei fottuto, puoi andare a dormire sotto un ponte o tornare da mammà.
                                Lui non ha un lavoro, ma mantiene il padre e la sua compagna, i figli e ospita uno straniero a pranzo.
                                Forse non ha un’ automobile, sicuramente non ha mai fatto un viaggio. Ma ***** vive e pure bene.
                                Dopo questo discorso faccio per andarmene, un po per la depressione in cui mi ha buttato ma di più perché si è fatto tardi.
                                Lui insiste nel trattenermi e sta quasi per offendersi perché le donne stanno cucinando una specialità per l’occasione.
                                Chiaro che saputo questo non posso che trattenermi ancora.
                                Non voglio offendere nessuno che mi abbia accolto così.
                                La fretta mi sembra non essere concepita da queste persone e penso che , almeno in quest’occasione, posso concedermi un po di calma e imparare qualcosa da loro.
                                In fondo è anche questo il benevolo sequestro di persona dell’ospitalità islamica.
                                Anche lui mi dice che avere un ospite sono punti in più per il paradiso che vanno a loro.
                                E qui oltre alla raccolta punti ci vedo gente che davvero è felice di avere un viaggiatore con loro per qualche ora.
                                Il mio jackpot di punti lo prendo invece perché arrivato il momento del ringraziamento per il cibo (che lui ha pronunciato anche all’inizio del pasto)
                                nessuno mi ha dovuto dire cosa fare e ho partecipato in automatico.

                                Mentre chiacchieriamo prendo confidenza con i bambini, in particolare con una delle figlie che mi guarda fisso e ride ogni volta che ringrazio.
                                Quando mi porgono qualcosa, nel ringraziare abbasso la testa e mettendomi la mano destra aperta sul cuore dico “spasibo” quasi sussurrandolo.
                                Lei inizia a prendermi in giro guardandomi e facendo la stessa cosa, per poi finire in una gran risata che si porta dietro tutta la tavolata.
                                Le donne portano la specialità, una sorta di focaccia con qualcosa dentro, mentre i bambini cominciano a provarsi il casco,
                                le bambine con i foulard in testa iniziano a ballare e un poliziotto americano su FOX Crime analizza i resti di un cadavere squartato.







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