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Samarcanda? Sì, E Vi Dico Com'è Andata.

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  • Rimango a parlare per un po’ con il mio nuovo eroe dei nostri rispettivi viaggi ,
    dopodiché vado a fare il mio giro da turista al Registan, che sta proprio lì vicino.
    Vista l’ora prossima al tramonto visito il complesso con la luce peggiore per fare foto.
    Non è un problema viste le migliaia di immagini che girano di questa meraviglia.
    La luce del crepuscolo da sicuramente un’aria inconsueta ai volumi tappezzati di lucide maioliche,
    la cui dominante azzurra è mitigata dal giallo del sole che inizia a scendere.
    Pago il biglietto anche se Andree mi ha spiegato come entrare senza pagare:
    ho voglia di lasciare dei soldi che serviranno al restaturo di un’Architettura tra le più affascinanti del mondo e non mi preoccupano i quasi 10 euri dell’ingresso.











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    • iro per gli ampi cortili con un senso di svuotamento dentro.
      Mi sento come nei pomeriggi universitari che seguivano un mega esame, come statica o progettazione.
      Quei momenti di gloria personali formalizzati da un 30 sul libretto dopo settimane di chiusa a produrre disegni e progetti,
      sistematicamente messi in discussione dal prof e dai suoi scagnozzi per mesi, che alla fine vengono ripagati dal voto massimo.
      Quella sensazione del tipo: “Ok, ce l’ho fatta. E ora? Ora niente: è finita e mi annoio”.
      Quei momenti in cui si dovrebbe riposare ma si ha addosso ancora troppa adrenalina per farlo.
      Quando sembra che tutti gli sforzi siano stati finalizzati a una soddisfazione inconsistente ed effimera.

      Mi siedo su una panchina guardandomi intorno un po’ spaesato, pensando che la vacanza è ormai finita.
      Non riesco però a focalizzare fino alla fine il pensiero:
      sento una musica provenire dal fondo del viale pedonale che passa davanti al complesso e, attraverso fontane e aiuole, porta a una sorta di campetto coperto. La musica è intervallata dalla voce di una presentatrice e mi incammino pensando di trovare un concerto di piazza.
      Hanno la stessa pensata due francesi che alloggiano alla mia stessa locanda qui a Samarcanda e stavano nella stessa locanda a Bukhara.
      Ci salutiamo con un cenno della testa quando arriviamo davanti al campo coperto.
      Che non è un campo sportivo, ma una sorta di spazio per eventi.
      C’è un sacco di gente seduta a tavoli circolari e vestita di tutto punto.
      Sulla sinistra c’è il palco degli artisti, che perlopiù canteraano su basi registrate o andranno direttamente di playback.
      Sulla destra c’è il palco con un tavolo addobbato a cui siedono un uomo e una donna: lui con abito nero, lei in bianco:
      un matrimonio! Un mega matrimonio!

      http://www.youtube.com/watch?v=hSyaQZCY24A

      Dev’essere qualcuno di importante, tipo la figlia del sindaco o il figlio dell’industriale della città:
      a occhio duecento invitati, almeno tre cameramen con tanto di giraffa e un botto di fotografi.
      Mi giro verso uno dei francesi, quello vestito con pantaloncini e maglietta rosa
      (come ***** ti viene di andare per l’Uzbekistan con una maglietta rosa?) e gli dico:
      -“ Ora dobbiamo trovare il modo di farci invitare!”
      Il Franzose Rosa non fa in tempo a rispondermi che un signore all’ingresso ci fa segno di avvicinarci e ci porta, tutti e tre, a un tavolo con una decina di uomini.
      Siamo ufficialmente invitati al matrimonio dell’anno a Samarcanda.
      Gli uomini ci fanno subito spazio e i camerieri ci portano piatti, posate e bicchieri.
      Io e il Franzose Rosa gustiamo tutto quello che la tavola offre, mentre il Franzose Quattrocchi non beve ne mangia praticamente nulla per via della dissenteria massacrante che lo sfinisce da quando è sbarcato dall’aereo.
      Vengono portate bottiglie da mezzo di ottima vodka che finiscono con rapidità nell’ordine di un brindisi ogni due bocconi.

      http://www.youtube.com/watch?v=FQSYV...ature=youtu.be

      Ma il cibo è sostanzioso e l’effetto dopo una decina di bicchieri è una sana euforia da sfogare quando ci dicono che è ora di ballare.
      La musica è di un tamarrume sconvolgente: non solo musica tradizionale uzbeka con basi campionate o dance commerciale in uzbeko.
      Su tutte spiccano i Ricchi e Poveri, Toto Cutugno e addirittura la Lambada.

      http://www.youtube.com/watch?v=-Tm5a...ature=youtu.be

      Noi andiamo a fare i cazzoni in pista e subito siamo circondati di nuovi Màifrènd che vogliono immortalarsi insieme a noi e sapere da dove veniamo.



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      • La cosa interessante è che ogni volta che ci mettiamo a ballare dove ci stanno donne,
        gli uomini vengono a prenderci e ci portano a ballare nel gruppo degli uomini.
        Niente, è definitivamente così che funziona: i masculi cu i masculi, i fimmini cu i fimmini.

        http://www.youtube.com/watch?v=bOaxJOhpIYs

        I ragazzi ballano esibendosi in passi complicati, o credendo di fare ciò, in ogni caso mettendosi in mostra.
        Le ragazze fanno quelle che non cacano i ragazzi manco di striscio ma intanto li guardano con la coda dell’occhio e ridacchiano con le amiche.
        Prima o poi qualcuno chiederà la mano dell’altra e in qualche modo convoleranno a nozze.
        Mi stupisce questo bisogno di somigliare agli occidentali con i loro costumi,
        che inevitabilmente cozza con gli usi che tuttora pretendono una divisione tra i sessi anche in queste occasioni.
        Si percepisce che durerà ancora per poco, ma anche se controvoglia si continua a fare così.





        Mentre stiamo lì a bere e ballare vediamo anche altri ospiti della locanda fatti entrare alla festa e sottoposti alla stessa ospitalità.
        Veniamo a sapere da un’amico dello sposo che il matrimonio è stato combinato e i due ragazzi, pur non essendo d’accordo, hanno dovuto piegarsi alle volontà delle famiglie. E’per questo che hanno la faccia serissima, quasi da funerale.
        Che stride pesantemente con le nostre, quando tocca a noi farci le foto al loro tavolo.

        http://www.youtube.com/watch?v=u98pWYGTuIY

        La festa finisce di colpo quando tutti lasciano il posto, seguendo gli sposi che, a piedi, escono nella piazza a farsi riprendere mentre camminano per mano.
        Che pare si usi, visto che becchiamo un’ altra coppia fresca di cerimonia che si fa riprendere da tre cameramen e fotografi che gli girano intorno.
        Solo che loro sono felici perché sorridono a trentadue denti scambiandosi occhiate da palumbelli.
        Torniamo in massa alla locanda e concludiamo la serata a chiacchierare mentre continuiamo a bere birra,
        raccontando la serata agli ospiti che non erano presenti.

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        • L’indomani a colazione rivedo un po tutti.
          Anche un francese bassino con la faccia da calabrese che alla festa sembrava il più scocciato.
          Sentendo il mio accento mi chiede da dove vengo e Carramba! È originario di Petrizzi, un paese a pochi km dal mio.
          Dopo 20 giorni di russo e inglese mi ritrovo a parlare in calabrese a Samarcanda.
          Ed è veramente uno spasso ascoltare il mio dialetto parlato con cadenza francese.
          Lui è figlio di genitori calabri e ha passato molte estati della sua vita sul mar jonio.
          Si trova lì in bici insieme alla moglie e un paio di amici e quella sera stessa partiranno per tornare a casa, le bici sono gia impacchettate.
          Il Finnico mi dice che passerà la giornata tra gli uffici della polizia per il visto e la locanda per aggiornare il blog dopo 15 giorni.
          Oltre che per prendere contatti con altri motociclisti con cui dovrebbe incontrarsi sul Pamir, se riesce ad entrarci.
          Faccio la mia giornata da turista girovagando tra Registan (di nuovo ma dall’esterno) e vecchie moschee e medresse ormai cadenti.

          http://grooveshark.com/s/Haneen+Wa+Hanaan/4hTc6O?src=5







          Ascolto dalle guide storie di principesse rinchiuse, di infedeltà, di architetti presuntuosi e di punizioni atroci ed esemplari.
          Non sono sicuro di ricordare bene ma pare che Tamerlano, tornando dalla guerra, abbia scoperto il tradimento della moglie bellissima consumato (mi sembra, ma forse è il mio orgoglio corporativo) con l’architetto di palazzo.
          Scoperto il fatto, uccise lui e rinchiuse lei in un minareto dal quale si lanciò disperata.
          Per evitare che si ripetessero situazioni di questo tipo il conquistatore impose che le donne andassero in giro col volto coperto,
          visibile solo ai propri uomini tra le mura domestiche.

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          • Osservo in silenzio i turisti italiani e mi rendo conto che il più delle volte siamo orribili in gruppo all’estero.
            E c’è un sacco di gente che non ha idea del perché scelga una destinazione piuttosto che un’altra.
            Come sempre evito di socializzare con i miei compatrioti , preferendo perdermi nel mercato tra spezie e frutta:
            C’è chi ha un banco sotto le grandi tettoie in acciaio reticolare, divise per generi merceologici, e chi si dispone alla rinfusa con ceste e banchetti mobili.










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            • Scambio una chiacchiera con un signore e il suo vicino da cui compro peperoncino e the.
              Il vicino, più giovane, mi mostra orgoglioso la foto dei figli sul telefonino.
              Da una signora compro un pesce fritto che mangerò seduto su un marciapiede, godendomi il vociare delle contrattazioni.





              Non posso fare a meno di notare che la maggioranza dei commercianti sono donne.
              E’ decisamente un mercato di venditrici.
              E a pensarci bene era così anche a Bukhara, dove ho notato che anche alcuni lavori come la manutenzione delle aiuole e dei giardini è affidata alle donne, infagottate all’inverosimile per proteggersi dal sole e dalla polvere.
              Decisamente in queste città il commercio è donna.
              Mi sorprende come in un paese islamico così lontano dall’occidente, molto più della Turchia che già nel nostro immaginario è oriente, le donne abbiano una libertà di movimento pari a quella degli uomini: guidano tranquillamente, scherzano, alzano la voce.
              Certo questa è la città, ma anche nei paesini non ho visto situazioni molto diverse.

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              • Qui vanno in giro per lo più in abito tradizionale, fatto di una casacca su pantaloni a sigaretta, molto spesso a fantasie vivaci.
                Si muovono sicure nelle contrattazioni, nel parlare con gli uomini.
                Non hanno l’aria di essere sottomesse per istituzione.









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                • E alcune sono davvero molto belle, con tratti somatici particolari: pelle turca modellata con lineamenti orientali.






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                  • Passo qualche ora tra banchi di frutta e chaykhane a guardare una umanità tutto sommato rilassata.
                    Si contratta, si vende e si acquista, si imbroglia e si viene imbrogliati ma , per quanto si tratti di sopravvivenza, nessuno pare perdere le staffe più di tanto.





                    Dopo il mercato e prima di tornare alla locanda, una visita veloce al complesso dei mausolei molto importante.
                    Il cuore dello shah-I –zinda è il mausoleo di Qusam- ibn- Abbas, cugino del profeta Maometto, responsabile della diffusione dell’islam in queste aree. Successivamente anche Tamerlano e la sua discendenza iniziarono a seppellire qui i loro defunti, dando origine a questo “viale dei mausolei”.









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                    • Ascolto un po svogliato guide locali raccontare storie a turisti inglesi, ma sono davvero stanco e ho bisogno di andare al fresco della locanda.
                      Prima però cerco di comprare questi benedetti integratori.
                      Provo in una farmacia grandicella, ma i tipi dentro cercano di spacciarmi vitamine per bambini a 60 dollari.
                      Ritento in una più piccola dove trovo tre donne, la proprietaria e due amiche.
                      Capisce subito cosa voglio e mi vende una confezione di pastiglie a 5 euro.
                      Sto lì un quarto d’ora, mentre le signore mi raccontano di un grande concerto di Toto Cutugno a Tashkent con migliaia di persone in piazza ad ascoltarlo.
                      Non riesco a convincerle del fatto che Celentano abbia avuto dei colpi di genio di cui Cutugno è sempre stato carente.
                      Nulla da fare: Cutugno è Cutugno e loro lo adorano, tutte e tre.
                      Dopo essermi beccato tre buona fortuna da altrettanti sorrisi passo a comprare frutta in quantità che mi godo beatamente sotto il portico della locanda prima di fare manutenzione alla moto.
                      In una ferramenta mi hanno regalato del fil di ferro che ho preso apposta per la targa.
                      E il fissaggio funziona. Il vero problema adesso è un altro.
                      Ho perso l’aggancio della valigia destra. Heavy duties utilizza delle C in plastica, che si avvitano dall’interno valigia, per fissare le borse al telaio.
                      Per paura di spanare le filettature non ho stretto a sufficienza e mi sono perso la C.
                      La valigia è rimasta incastrata attraverso le viti, rimaste al loro posto impedendo che una scatola da 39 litri piena zeppa di indumenti e ricambi volasse per strada.
                      Fisso anche quella con quattro o cinque giri di fil di ferro.
                      Mentre sono lì a fare queste operazioni sento una voce di donna che mi parla in italiano.
                      La tipa ha una cinquantina d’anni, dai tratti somatici decisamente ariani e vestita di bianco.
                      Sembra appena uscita da un romanzo di viaggi di inizio novecento , così chiara di carnagione e così candida nell’abbigliamento.
                      E’ un miracolo non si sia ustionata dopo due settimane in uzbekistan in piena estate.
                      Nonostante qualche segno dell’età ancora una bella figliola.
                      Milanese ma vive a Londra da anni, mi racconta della sua passione per i viaggi.
                      Iniziamo a parlare dell’argomento e poterlo fare finalmente in italiano mi da un senso di rilassatezza.
                      Durante la conversazione esce fuori che le dispiace che questi posti si stiano occidentalizzando,
                      perdendo le tradizioni e il fascino che fino a poco tempo fa conservavano integralmente.
                      Le rispondo che ci sono comunque gli aspetti positivi e la condizione femminile è uno di questi.
                      Se poi il progresso arriva anche senza nessun esercito che esporti democrazia a suon di missili, beh meglio ancora.
                      Il discorso ci porta a parlare del Finnico e del suo viaggio:
                      a mio avviso non ha ancora dato un senso preciso a questo girovagare e forse per questo ha l’espressione un po scocciata,
                      mentre secondo lei ci sta che uno molli tutto e per un po vada dove lo portano gli eventi.
                      Delle due l’una: o io sono rimasto con la testa in occidente, o lei ha una visione da operetta del viaggio.
                      Scoprirò in breve tempo che la risposta giusta è la prima.
                      Decidiamo di mangiare alla locanda, insieme agli altri viaggiatori .
                      I Francesi sono partiti, ma in compenso sono arrivati altri ciclisti.
                      Passiamo la serata con due coppie (spagnoli e olandesi) di giramondo a pedali incontratisi lì per caso.
                      Arriverà anche il Finnico che, dopo una giornata dalla polizia, non ha risolto nulla per il visto.
                      E’ una serata piacevole e mi godo la fine dell’ultimo giorno da turista.
                      Mentre aspetto che il sonno venga,focalizzo meglio il pensiero che facevo sulla panchina la sera del mio arrivo.
                      Ci ho messo venti giorni ad arrivare qui. Ora ne ho dieci per tornare. Domani si va ad Ovest.

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                      • A colazione sono l’unico a sparasi due macchinette di caffè con la moka:
                        neanche l’italiana ormai londinese ne ha voluto, abituata all’ acqua sporca che lì passano per caffè.
                        La locanda ferve di preparativi di gente che va via.
                        Gli olandesi vanno via un po prima di me.
                        Il Finnico continua ad avere la sua aria malinconica mentre ci salutiamo abbracciandoci.
                        E mentre lo facciamo ho l’impressione che si sia rotto le palle seriamente di vagare da solo.





                        Ora, per tornare verso casa l’opzione più rapida sarebbe quella di rifare la stessa strada per risbucare in Kazakhstan nello stesso punto,
                        ripassare da Qulsary e rientrare in Russia da Astrakhan.
                        Mi incammino di buona lena in quella direzione convinto che la mia strada sarà quella.
                        I miei programmi vengono alterati per l’ennesima volta al primo posto di blocco in uscita da Samarcanda.
                        Appena fermato tiro fuori passaporto e documenti e inizio a chiacchierare con il poliziotto di turno che parla un buon inglese.
                        In tono cordiale mi chiede da dove sono entrato e anche da dove prevedo di uscire.
                        Gli dico di aver deciso stamattina di uscire dalla stessa frontiera di ingresso e lui cambia espressione.
                        Mi chiede cosa ho dichiarato in ingresso riguardo alla frontiera di uscita.
                        Gli rispondo di non aver dichiarato nulla.
                        “Wait a moment” mi dice mentre entra nell’ufficio con i miei documenti.
                        Ne riesce pochi minuti dopo dicendo che a Beyneu ho dichiarato che sarei uscito a Tashkent.
                        Di colpo con un flashback mi torna in mente la scena esatta:
                        quel giorno, all’ultimo controllo documenti insieme ai tedeschi del rally, in situazione concitata e caotica, il funzionario si ostinava a parlare in un pessimo inglese mentre io mi ostinavo a esibire un pessimo russo.
                        Quando gli ho detto che forse sarei andato a Tashkent credevo mi avesse risposto qualcosa del tipo
                        –“ Ci devi andare, è una bellissima città. Io vengo da lì” e non capivo la sua insistenza nel chiedermi la conferma sul fatto che ci sarei andato o meno.
                        Alla fine per tagliare corto gli avevo risposto che sì, ci sarei andato a vedere la sua splendida città.
                        In realtà mi stava chiedendo conferma che sarei uscito da lì e lui ha annotato questo sulla mia pratica di ingresso.
                        Chiedo al poliziotto che fare: se provarci lo stesso ad uscire da Nukus oppure non rischiare e andare da Tashkent.
                        A suo avviso è meglio fare come involontariamente dichiarato:
                        trovassi degli ******* potrei correrei il rischio di elargire diverse mazzette o peggio ancora potrei finire con il tornare indietro verso Tashkent
                        con la concreta possibilità che i visti scadano uno dopo l’altro, ritrovandomi così clandestino.
                        Ringrazio per la solerzia nei controlli e inverto la marcia verso la direzione opposta.
                        Vado ancora verso Est.
                        A questo punto dovrò uscire da Chinaz, che è il posto di frontiera per i veicoli poco più a sud,
                        e percorrere le terribili (a detta di Samat)statali che in Kazakhstan avevo evitato per fare prima,
                        quindi passando da Aralsk e Aktobe per poi puntare verso la frontiera russa ad Astrakhan.
                        In realtà non mi dispiace affatto di quest’imprevisto e ho un’ottima scusa per fare il giro lungo.
                        L’unico problema è il poco tempo. E’ non è un problema da poco.

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                        • Attraverso i 200 km o poco più prima del confine godendomi per l’ultima volta profumi e colori di questo splendido paese.









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                          • Intorno a mezzogiorno mi fermo in una piccola città per un caffè.
                            Preferisco un ristornate un po’ defilato nel tentativo di evitare le domande dei curiosi che oggi mi stresserebbero più del solito.
                            Il ristorante è addobbato per l’ora di pranzo e mi ricevono le figlie del proprietario che subito mi portano a fare la sua conoscenza.
                            Mi invita a sedermi con lui e iniziamo a chiacchierare.
                            Naman E’ secco, prossimo alla 60ina, con occhi e modi placidi.
                            Quando parla scandisce bene le parole con voce bassa ma ferma.
                            E mi ascolta attentamente quando parlo il mio russo da sopravvivenza, ripetendo le mie frasi con altre parole per confermarmi che ha capito.
                            Per questi suoi modi mi fa venire subito in mente mio padre, sebben Naman abbia più di vent’anni in meno.
                            Quando mi chiede, inevitabilmente, della mia famiglia mi sento già in confidenza quanto basta per confessargli che mi sento un po’ in colpa per il fatto che sto in giro a migliaia di km da casa invece di passare del tempo con mio padre ormai avanti con gli anni.
                            Lui mi risponde di non avere rimorsi perché sto vedendo il mondo e mio padre non può che essere contento di queste mie avventure.
                            Parla con parole semplici e con frasi essenziali ma cariche di sostanza.
                            Questo basta a farmi sentire meglio: come spesso accade è un perfetto sconosciuto ad alleviare la coscienza da rimorsi e dubbi.
                            Bevo il mio nescafè gentilmente offerto e altrettanto gentilmente declino l’invito di fermarmi per il pranzo vista la fretta che ormai mi è salita in corpo .
                            Lui sembra un po rattristarsi di questo, e anche io vorrei passare un po di tempo con lui. Fosse solo per la calma che mi infonde.
                            La foto con lui è una di quelle a cui tengo di più.

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                            • Altri controlli entrando nella regione di Tashkent e poco prima del confine vedo davanti a una chaykhana due XT 125 acchittate da viaggio con targa inglese.
                              Mi fermo chiedendo al tipo che cucina la carne all’esterno dove siano i proprietari delle moto.
                              Mi indica il cortile interno. Ci trovo due signori intorno alla 50ina,Nick e Kevin, che stanno lì a fare il Mongol Rally.
                              Oggi entrano anche loro in Kazakhstan per poi, a Shimkent, girare verso Almaty e proseguire in Mongolia.
                              E’ stato davvero un caso incontrarli, dato che sono stati fermi per 15 giorni a Bukhara in attesa della frizione di ricambio per la moto di Kevin .
                              Ci diamo appuntamento alla frontiera.
                              Li raggiungerò dopo aver consumato il mio pasto in compagnia di una bambina curiosa che la madre non ha smesso un minuto di cazziare perché stava a suo avviso disturbandomi.
                              Ed eccoci qua alla frontiera: il Minchia del Deserto e i Due Idioti all’ Estero (two idiots abroad è il nome del loro blog/sito).
                              Nell’attesa che aprano i cancelli facciamo meglio conoscenza, parlando delle rispettive moto e attrezzature e prendendoci per il **** a vicenda.
                              I ragazzotti sono simpatici e facciamo un bell’ incontro al vertice tra humor inglese e cazzoneria mediterranea.

                              http://www.youtube.com/watch?v=bvRcx...ature=youtu.be

                              Oggi ho la conferma di quanto sia tosta la frontiera tra questi due stati.
                              Ci mettiamo quasi 5 ore tra attese, controlli e tentativi di estorsione.
                              Soprattutto sul lato kazako.
                              Il militare di turno ci fa aprire borse e valigie continuando a chiederci “Dov’è il kalashnikov?”
                              Quando gli indico la sacca contenente la tenda sgrana gli occhi e mi chiede “davvero? E tiralo fuori!”.
                              Gli direi che è proprio cazzone, mi limito a far notare a Kevin la posizione fragile che abbiamo in quel momento:
                              un idiota completamente ignorante e magari semianalfabeta potrebbe decidere di privarci della libertà per una battuta o la voglia di alzare due soldi.
                              Il fatto di essere in tre ci rende forti quando, uno ad uno, completiamo le pratiche di ingresso in un ufficio, accompagnati da un funzionario con la faccia da truffaldino che alla fine ci chiede dei soldi.
                              Altrimenti, dice, il computer non funziona e loro non trasmettono i dati alla polizia.
                              Questo dopo che già il funzionario preposto aveva messo i dovuti timbri sui documenti (ovviamente chiedendomi dei soldi, ma in maniera educata).
                              Stiamo insieme e non ci lasciamo mai soli e io per quel che posso faccio da interprete per loro.
                              Il Corrotto attacca bottone insistendo col tentativo d’estorsione che interrompe però quando gli dico che
                              sono fidanzato con la figlia del console italiano a Mosca.
                              E’ una palla clamorosa ma devo averla detta così bene che il Tipo mi guarda stupito dicendo
                              - “Allora sei ricco?”-
                              - “No, la mia fidanzata è ricca. Io sono solo bello.”-
                              Questo basta per convincerlo che forse è meglio lasciarci perdere.
                              L’ultima rottura di ***** ce la danno i militari intorno alle moto quando uno di loro, prima che andiamo via,
                              insiste col dire che è impossibile che non abbiamo contanti da dichiarare, dobbiamo tirar fuori i soldi.
                              Alla fine un superiore gli urla, dall’edificio degli uffici, di lasciar perdere e farci andare.
                              E cazzarola! Sono o non sono il genero del console?

                              Ci fermiamo subito dopo il cancello a cambiare soldi.
                              E’ una piccola e caotica kasbah a cielo aperto.
                              Veniamo immediatamente circondati da cambiavalute e astanti.
                              Appena cambiati i soldi sono io a mettere fretta agli inglesi per andarcene: lì c’è troppa gente e ci guardano come se fossimo quelli ricchi.
                              Si percepisce chiaramente che non siamo più in Uzbekistan e i soggetti intorno a noi hanno le pupille a forma di dollaro.
                              Loro convengono e andiamo via attraversando le due kilometriche file di TIR ai lati dello stretto rettilineo.
                              Mentre la attraverso ho l’impressione che quella coda sia una sorta di villaggio permanente di cui continuamente cambiano gli alloggi: gli autisti arrivano lì sfiancati da giorni di guida sulle strade Kazake e stanno lì ore, forse giorni, in attesa dell’apertura dei cancelli.
                              Vi si vede gente in ciabatte, scalza, in mutande, mentre si lava alla bell’e meglio.
                              Intravedo dietro i camion gruppi di camionisti che si radunano per accendere un fuoco e cucinare qualcosa.
                              Superate le colonne di veicoli la strada si perde nella steppa senza soluzione di continuità mentre il sole cala tingendo tutto di arancio,
                              come se ce ne fosse bisogno.

                              http://grooveshark.com/s/Planet+Caravan/27YG0K?src=5

                              Io sono contentissimo: finalmente ho trovato la mia piccola carovana ed è bello dopo tutta questa solitudine avere dei compagni di viaggio,
                              ancora più preziosi perché sappiamo già che sarà solo per pochi kilometri.

                              http://www.youtube.com/watch?v=kb2-5...ature=youtu.be

                              Decidiamo di comprare un po’ di cibo al primo villaggio e di accamparci per la notte nella steppa lì vicino.
                              Io suggerisco delle zone alberate per ripararci dal sole.
                              Nick mi fa notare che se ci sono alberi c’è acqua e quindi zanzare.
                              Optiamo per un pascolo completamente sgombro a un km dalla statale.
                              E’ pieno di cacca di capra ma chi se ne fotte: è secca come pietra.



                              Montiamo le tende mentre il sole va giù e con il loro fornello iperspacchiometrico mettiamo insieme la carne di cavallo in scatola comprata poco fa con il riso in scatola al manzo che mi porto dietro da Beyneu.
                              Ne esce fuori un piatto buonissimo che mangiamo sotto le stelle, nel nulla, mentre cazzeggiamo e ci raccontiamo delle nostre vite.
                              Kevin ha una concessionaria di scooter e moto di piccola cilindrata mentre Nick fa un lavoro che non ho ben capito ma ha che fare con l’immobiliare.
                              Dice che per le leggi che ci stanno in Europa può farlo solo in Inghilterra.
                              Hanno entrambi moglie e figli e si stanno sparando questo rally di beneficenza con minime sponsorizzazioni.
                              Sono attrezzati bene senza dubbio, forse un po troppo carichi per i motori che hanno. Affidabili ma sempre 125.
                              Gli parlo del mio lavoro e del ritardo clamoroso che ho accumulato:
                              E’ il 22 Agosto e il 3 Settembre dovrei essere a Studio.
                              Di certo lo Studio non chiude senza di me, visto che siamo in 12 a lavorarci, ma non brillerei per affidabilità e mi seccherebbe molto.
                              Anche loro sono in ritardo mostruoso, 15 giorni, ma non hanno problemi.
                              Nick dice:
                              -“ non mi preoccupo, sono il capo. Ho uno staff che lavora per me.”
                              –“ Nick, io mi preoccupo: sono io lo staff!”
                              -“ oh, capisco, comunque dovresti farcela con un paio di giorni di ritardo”
                              -“magari!...”
                              Andiamo a dormire prestissimo, dopo un paio d’ore di buio.
                              Sappiamo che intorno a noi ci sono piccoli villaggi e centri abitati, ma dal punto in cui siamo non si vede nulla.
                              Ho montato la tenda senza il telo sopra, sia per il caldo sia per poter vedere il cielo attraverso la rete del camino.
                              La vacanza è finita e da domani inizia un lungo ritorno che sarà, già lo so, molto impegnativo.
                              Però non me ne fotte niente di studiare le tappe e le distanze per stasera.
                              So solo che ci sono migliaia di km tra me e la mia vera vita, e sono da fare in una decina di giorni.
                              Ma a questo ci penserò domani.
                              Ora mi godo questo cielo saturo di stelle e il silenzio assoluto che ci circonda.

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                              • Nooo dal 18 marzo ci lasci così??? MACCHESEI PAZZO!?

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                                In moto, sempre in moto.
                                K1600GT - F.P.C. M05 - "Principessa Elena"
                                ZR7 - F.P.C. M06 - "Trovatella"

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